R-Esistere 29.03.2020 – 29.05.2020

Mi sono svegliata con un forte rumore, un vero boato e ho impegnato alcuni minuti per rendermi conto che si trattava del contadino nel campo sotto casa che sparava a salve con il suo fucile per spaventare gli storni e mandarli via dagli alberi di frutta.

Quel frastuono mi portò in dietro negli anni e far riemergere nella  mia mente due simili boati che hanno segnato la mia adolescenza e prima giovinezza.

La prima era quando nel fine settembre 1978 un forte boato fuori dalle mura del liceo ci ha spaventate e costrette a correre verso cortile, tutte noi studentesse e pure i professori. Rumore era causato dalla esplosione di un Molotov nella strada. Quel rumore, quella  bottiglia ci introdusse nella Rivoluzione Islamica contro Lo Scia di Persia. Avevo 14 anni ed i mesi che si seguirono sono stati accompagnati d’un inverno molto freddo, le scuole chiuse,  i carri armati in tutte le strade, i soldati con loro fucili puntati sulla gente e la morte. Il popolo era divisa in due gruppi, chi odiava Lo Scia e chi lo amava, alla fine dopo cinque lunghi mesi e più di settanta mila morti gli oppositori hanno vinto ed è nata la Repubblica Islamica di Iran! In quei mesi abbiamo vissuto con ogni tipo di carenza, dai beni di prima necessità, al cherosene per le stufe, benzina per le auto e dal lavoro per i nostri padri. Mesi duri che hanno marchiato la vita di ognuno di noi, abbiamo R-Esistito a tutto ed ero convinta che nella mia vita non avrei assistito a nessun altro evento di tale grandezza ed importanza in ogni senso.

Il tempo ci ha insegnato ad abituarci al nuovo regime, alle nuove regole, ai  soldati diversi con i loro fucili puntati sulla gente , le carenze e abbiamo R-esistito a tutto fino che un altro boato ha sconvolto le nostre vite. Era pomeriggio di lunedì 22 settembre 1980 ed ero sdraiata sul tappetto della mia stanza, un rumore assordante ha fatto tremare la casa e con l’orecchio per terra ho percepito il tutto con eco maggiore. Non era terremoto, non era un Molotov, era una vera e propria esplosione. Siamo corse nel giardino (con mia madre e mie sorelle), non riuscivamo a capire di che cosa si era trattato e fuori da casa si sentiva la voce della gente che urlava e da li a breve le sirene di ambulanze hanno riempito il cielo del nostro quartiere. Poco dopo abbiamo appreso che eravamo attaccati dai Iracheni e che il nostro paese era entrata in guerra. Gli anni che seguirono sono stati duri, hanno lasciato un milione di morti a terra ed altrettanto invalidi di guerra per la mia nazione oltre ad un debito enorme per il nostro paese e tanta devastazione in tutti sensi. Abbiamo imparato a vivere nel buio con le finestre coperte di cartone nero, abbiamo imparato a conoscere il significato di sirena Rossa, Gialla e Verde prima e dopo attacchi degli aerei nemici, abbiamo allestito nella cantina un giaciglio per passare le notti di bombardamento. Abbiamo R-esistito a tante cose e molte difficoltà ed io pensavo che dopo avere visto e vissuto ai cambiamenti come una Rivoluzione e ad una Guerra avrei visto e vissuto le difficoltà maggiori nella mia vita. Pensavo che avevo dato la prova di R-Esistere!

Esistono tipi differenti di rivoluzione, esistono guerre di varia natura e non avrei mai potuto immaginare di dover assistere ad una rivoluzione nei nostri abituali comportamenti e neppure dover combattere una guerra contro un virus, non avrei mai immaginato di vivere e dover R-Esistere ad una pandemia. Credevo fossimo più forti, più preparati rispetto a coronavirus, riponevo molta fiducia nella superiorità della nostra preparazione scientifica ed invece non era perfettamente cosi e dal 21 febbraio 2020 tutti i notiziari hanno iniziato a parlare dei primi pazienti italiani ammalati da Coronavirus. Codogno come Wuhan alle prese con Covid 19, con malati ed il terrore della morte.

Non eravamo preparati a ciò che stava per accadere, mancavano le giuste informazioni e la confusione era tanta inoltre eravamo sprovvisti di dispositivi di protezione per poter lavorare ed assistere i nostri pazienti. Vivevamo in balia degli eventi e cercavamo di aggrapparci alle informazioni che ci veniva inviato dal ASUR via posta elettronica. Le email arrivavano di continuo, pagine e pagine di disposizioni e regole da seguire che invece di chiarirci ci confondevano. Durante la settimana lavorativa dal 24 al 28 febbraio abbiamo assistito al caos totale sia per quello che riguardava la differente gestione del lavoro con i nostri pazienti che la confusione da parte dei dirigenti che seguono la medicina territoriale.

Ceravo di seguire le disposizioni che ci venivano inviate e di ridurre le preoccupazioni dei miei pazienti. Lavoravo molto ed ero poco a casa, mia figlia e mio marito cercavano di aiutarmi in modo di passare serenamente il tempo che ero a casa. La vita frenetica e caotica di fuori era pesante ma non era nulla in confronto al forte boato che mi ha stordito nella mattinata del sabato 29 febbraio. Era più forte del Molotov esplosa 42 anni prima, più assordante della prima bomba caduta sull’aeroporto militare di Tehran a pochi chilometri di distanza da casa mia 40 anni fa, era forte e ha fatto tremare ogni cellula del mio corpo. Era un normale sabato mattina nella tranquillità di casa dopo una settimana estenuante di lavoro in piena confusione creato dal COVID19 quando mia figlia di soli 21 anni mi ha chiamato e mi ha detto: ” mamma sento qualcosa nel seno destro.”.

La mia reazione iniziale e le mie prime parole erano molto tecniche e le ho chiesto a che giorno del ciclo mestruale si trovava e lei mi ha risposto che il suo ciclo mestruale era terminato da due giorni, neppure queste sue parole hanno avuto alcun effetto su di me e le ho chiesto da quanto tempo si era accorta dell’anomalia e lei mi ha risposto:” da questa mattina!”

L’ho accompagnata in camera sua e l’ho fatto spogliare e distendere sul letto, le mani incrociate dietro alla nuca. Ero sicura che si era sbagliata, ero tranquilla che non aveva nulla nel seno destro, ero certa che aveva sbagliato, io ero sicura, tranquilla e certa perché per me era impossibile che ci possa essere un qualsiasi anomalia nel seno destro o sinistro di mia figlia, non poteva esserci nulla e non doveva esserci nulla. Ho visitato con delicatezza il seno di mia figlia, le mie mani si muovevano lentamente sulla cute del suo seno e senza alcuna fatica ho sentito una prima tumefazione in regione retroareolare ed un’altra a confine dei quadranti inferiori. Due tumefazioni che superavano sicuramente 2 – 3 centimetri di larghezza ed andavano contro la mia sicurezza, la mia tranquillità e contro tutte le mie certezze. Sentivo il BOATO e lo risentivo, era assordante, spaventosa e mi faceva tremare come madre, come medico. Ho cecato di rassicurare mia figlia e le ho spiegato che avrebbe dovuto fare un’ecografia per vedere meglio il seno e i suoi tessuti. Ho preso il telefono e ho cercato di fissare un’appuntamento  per eseguire l’ecografia in regime libera professionale. Le prenotazioni CUP erano chiuse fino ad aprile, gli studi privati erano chiusi e quel giorno non ho trovato nessun collega radiologo che avrebbe potuto fare un’ecografia a mia figlia. Lei apparentemente mi sembrava serena e tranquilla e tutto ciò mancava a me che avevo bisogno di capire cosa stava accadendo nel corpo di mia figlia.

Essere una professionista di salute non è uguale ad essere un lavoratore e va al di là di svolgere un impegno e nella situazione particolare ed unica creata da corona virus tutto era più complesso, più difficile. Da quel preciso istante mi sono sentita diviso in due,  da subito, la mia testa era divisa in due, una parte concentrata al massimo sul lavoro (sui particolari che ci venivano fornite ogni ora di ogni giorno, sui problemi di miei pazienti) e cercavo di svolgere tutto con massima precisione ed efficienza e l’altra parte della mia testa era concentrata su mia figlia. Il mio cuore era diviso in due parti, quella del medico e quella di madre. In quei giorni i miei pazienti avevano più che mai bisogno di me e la mia pelle era unica camice che potevo indossare, ma io sono anche madre ed il mio essere madre va oltre la pelle. Sentivo dentro di me il dolore che mia figlia sentiva nel seno destro. Non potevo e non volevo ritirarmi in dietro dai miei doveri di medico e i ritmi del lavoro erano veramente  stressanti ed una prova di R-Esistenza, ogni istante di ogni giorno ed andavo avanti con l’abituale senso di dovere e responsabilità nel mio lavoro con un nodo alla gola che non riuscivo a sciogliere.

Dopo sette giorni di ricerca sono riuscita a prenotare un’ecografia per il giorno 10 marzo alle ore 15 in una struttura fuori dalla comune dove abitiamo ed il giorno 9 marzo è iniziato lockdown con tutte le normi e regole che ha portato con sé. E’ riduttivo e superficiale dire che abbiamo avuto dei divieti in quelle settimane, la nostra Esistenza è stata completamente modificata dalle piccole abitudini come prendere un caffè al bar al termine di una mattinata di lavoro, fare una visita domiciliare a chi aveva febbre e tosse oppure visitare i pazienti nei nostri studi di medicina generale. Ci siamo trovati con la porta dello studio chiusa, la sala d’attesa vuota, le sedie fasciate con nastro rosse per impedire a qualsiasi persona di sedersi, noi medici dello studio con mascherina sul viso e disinfettanti in mano intento a disinfettare le scrivanie, sedie, ….per allontanare eventuale contagio dal virus, la malattia, la morte.

Anche se la maggior parte di negozi erano chiusi, le strade erano vuote di persone e di macchine o si entrava nei supermercati facendo una lunga fila e dopo tanta attesa, anche se le mascherine, disinfettanti, e i guanti erano merce rara e preziosa, in quei giorni oltre al corona virus erano presenti anche tutte le altre patologie croniche e tanti ammalati alle quali rivolgere le nostre attenzioni. Le mie giornate iniziavano molto presto e quando uscivo di casa faceva ancora buio. Ricevevo i messaggi dei pazienti, le email e le loro chiamate, un numero incredibile di telefonate da 90 a 100 – 120 ogni giorno. Le visite ambulatoriali erano poche e su appuntamento e le visite domiciliari venivano eseguite sia  alle persone con le patologie croniche invalidanti e le patologie oncologiche gestite in assistenza domiciliare che alle persone con la febbre dopo un accurato triage telefonico e muniti dei dispositivi di protezione rilasciato dal Centrale Operativa del 118. Tutte queste semplici operazioni in quei giorni si erano trasformati a delle operazioni complesse e molto macchinose con la perdita di tanto tempo e tante risorse. Tutto era cambiato, la nostra vita era diverso. Le notizie sul numero degli ammalati e i morti aumentava di giorno in giorno e vivevamo nell’incertezza per delle cose che fino poco tempo fa erano le nostre certezze.

Il giorno dell’ecografia lavoravo e non ho potuto accompagnare mia figlia a fare l’esame. Ogni quindici minuti inviavo un messaggio a mia figlia oppure a mio marito senza avere una risposta e dopo due ore d’attesa e l’ansia  ho chiamato direttamente la collega radiologa che ha eseguito l’esame a mia figlia e le ho chiesto se per favore mi avrebbe dato delle informazioni. Lei mi spiegato di avere visto quattro noduli solidi nel seno destro di mia figlia e che potevano essere fibroadenomi e mi ha suggerito la visita senologica ed esame citologico  per avere dati più precisi sulla natura delle neoformazioni. Poche parole dette con gentilezza che mi rimbombavano nella mia testa. Dopo due giorni sono riuscita a parlare con collega Senologo dell’Ospedale Regionale. Le ho spiegato velocemente il problema di mia figlia e lei ha accettato di prendere in visione esito dell’ecografia il giorno dopo, le ho chiesto cortesemente se avrebbe potuto visitarla e ho ricevuto un no secco dalla collega. Con poche e precise frasi mi ha detto che i noduli in discussione erano sicuramente dei fibroadenomi e che lei non aveva alcun bisogno di visitare la paziente. Il tono di voce emanava sicurezza di sé e certezza della diagnosi. Le ho ripetuto se gentilmente avrebbe potuto visitare mia figlia e il tono della mia voce   emanava timori di una madre per la propria figlia. La dottoressa era palesemente annoiata e scocciata e mi ha ripetuto con superiorità che non era necessaria alcuna visita aggiungendo che io come medico avrei dovuto sapere questo. Ci sono stati pochi attimi di silenzio nelle quali ho pensato che a me non bastavano le certezze di lei, non mi bastava la sua diagnosi a telefono, non mi bastava la sicurezza che derivava dalla sua voce, a me non bastavano e le avrei urlato tutta la mia angoscia ma non ho fatto e le ho chiesto un’altra volta se avrebbe potuto visitare mia figlia. Le ho chiesto un favore come madre e non collega, avevo le lacrime e piangevo senza poterlo nascondere. Lei ha accettato di visitare mia figlia il giorno dopo!

In quelle fredde settimane di marzo ed aprile mi sono sentita tutti i giorni con due miei pazienti. Paola e Giuseppe. Lei di 67 anni con Carcinoma mammaria e metastasi diffuse che in quei giorni lottava contro dolore, insonnia, astenia ingravescente e con tutte le forze R-esisteva a tutto. Lei mi inviava dei messaggi a qualsiasi ora di giorno e di notte e mi descriveva il suo vissuto, i suoi dolori, i suoi disagi, differenti di giorno in giorno chiedendomi aiuto. Sapevo quale era radice dei suoi problemi, sapevo quali intolleranza aveva ai farmaci e cercavo di risolvere i problemi di volta in volta. Aveva dolore ed io cercavo di aggiustare la terapia antalgica, era astenica e le facevo eseguire emocromo e ha avuto bisogno di diversi emotrasfusioni, soffriva d’inappetenza e ho cercato di integrare carenza d’alimentazione con fleboclisi e cosi via giorno dopo giorno siamo andate avanti fino a 5 maggio quando lei ha terminato la sua R-Esistenza e ci ha lasciati.

Lui di 71 anni con Cardiopatia ischemica e portatore di Pacemaker, Fibrillazione Atriale, Diabete mellito, Piastrinopenia severa, K prostatica, Arteriopatia obliterante arti inferiori in stadio avanzato, Insufficienza renale, BPCO. Fino al dicembre 2019 veniva in studio regolarmente tutte le settimana e mi portava i referti delle varie visite eseguite, per farsi visitare oppure chiedere le richieste delle visite e le ricette per la terapia cronica. Era molto preciso, gentile e di poche parole, era sposato con una signora Moldava da 18 anni.

Dal mese di gennaio le sue condizioni cliniche si sono peggiorati e la moglie ha dovuto essere sempre più presente per tutto quello che riguardava le sue visite e le sue terapia.  e Lentamente ha perso la capacità di deambulazione autonoma e ha avuto bisogno di deambulatore per fare pochi passi a casa, poi incontinenza urinaria con necessità di pannolone e da metà febbraio è stato allettato. L’ho visitato regolarmente a domicilio e sono stata costretta ad inviarlo in Ospedale a metà marzo per un ricovero di cinque giorni. Lentamente perdeva il peso, è diventato disfagico per gli alimenti solidi e liquidi. Il suo corpo con il passare del tempo perdeva la capacità di R-Esistere alle malattie con le quali conviveva da tempo ma la sua mente malgrado peggioramento delle condizioni cliniche R-Esisteva e restava preciso. La moglie mi telefonava tutti i giorni e mi inviava tanti messaggi nell’arco della giornata. Malgrado le difficoltà burocratiche ci siamo riusciti ad ottenere le varie autorizzazioni per pannoloni, catetere vescicali, il letto con le sponde, il materasso antidecubito e cosi via. E’ stato accudito dalla moglie giorno e notte a casa e senza aiuto di nessuno. Ogni mattina quando accendevo il cellulare trovavo dei messaggi da parte signora Natasha con il reso conto di tutto quello che era accaduto dalla sera prima e pure i quesiti di lei sullo stato di agitazione, alterazione dell’alvo, la quantità delle urine oppure le ricette o la data della visita domiciliare da fare. Dal Lockdown e per otto settimane ho vissuto la mia vita e loro sono stati una parte integrante delle mie giornate fino al mattino del 28 aprile quando lui se ne andato nel suo letto a casa sua.

In questi ultimi tre mesi sono svegliata ogni mattina con un unico pensiero in testa, mia figlia. Dopo la visita con collega senologa, ha eseguito la risonanza magnetica al seno in data 27 aprile e la biopsia giovedì 7 maggio. Io non ho potuto accompagnarla il giorno della visita e neppure quando ha fatto la biopsia in quanto lavoravo. Ero in studio a visitare i miei pazienti a rispondere alle loro chiamate, oppure in visite domiciliari sempre in atto di prendere cura di loro. Come ho detto dentro di me ero sdoppiata, metà di me viveva la vita del medico cercando di seguire i miei pazienti e l’altra metà era concentrata su mia figlia. Ero in contatto con un amico fraterno nonché collega senologo che da un anno è in pensione e mi è stato molto vicino in questo periodo. Lui è molto preparato e le ho chiesto di aiutarmi e guidare i miei passi. Sono stata assalita da mille dubbi e non mi sentivo capace di prendere le decisioni. Ero in balia dell’emozioni e molto sensibile. Al di fuori del mio lavoro che ha sempre occupato una parte importante di questi tre mesi, mi sentivo fragile e cercavo di non dimostrare nulla di tutto ciò a mia figlia ma la mia ansia era percettibile nei miei abbracci, nel mio sguardo verso e si sentiva nella mia voce, lei invece apparentemente è rimasta molto razionale e tranquilla. Le giornate passavano e dopo vari accertamenti si avvicinava una ipotetica data per l’intervento.

Dal 4 di maggio la situazione del lavoro ha subito un’ altro   cambiamento e le visite ambulatoriali che nel periodo di lockdown erano ridotto di molto hanno ripreso ad aumentare. Con ogni visita ho potuto ascoltare la percezione differente di ciò che abbiamo vissuto in questo periodo tra la solitudine e paura.

Ogni giorno ascoltando le parole dei miei pazienti durante le visite mi sono detta che quei racconti meritavano di essere raccontati, ogni giorno mi sono ripromessa di scrivere l’emozioni che erano dentro le loro parole perché abbiamo vissuto un evento unico e di conseguenza esperienze sentimenti diversi ed unici. Ogni giorno ero decisa a descrivere e fotografare a parole l’alba, il tramonto, il vento, il sole e l’odore e la trasparenza della pioggia in questi mesi particolari. Sapevo che quei racconti e quei scenari meritavano d’essere scritti per poter essere letti e trasmessi, lo sapevo, ma ogni sera ero talmente stanca che l’ho rimandato al giorno dopo. Era bello poter descrivere come abbiamo R-Esistito.

La mia stanchezza a fine giornata mi ha permesso di superare le giornate e consumare il tempo fino ad arrivare a 29 maggio, il giorno dell’intervento di mia figlia. Ho passato la notte in bianco malgrado l’aiuto di gocce di Lormetazepam. Ho guardato la sveglia sul mio comodino ogni mezz’ora. Quella mattina pioveva. Ho accompagnato mia figlia in ospedale e mi sono messa seduta fuori dal reparto in sala d’attesa e purtroppo dopo poco mi hanno invitato a lasciare l’ospedale per il problema di coronavirus.

Ho sentito mia figlia tutta la mattinata con i messaggi e verso le 13 sono ritornata in ospedale. L’ho vista portar via sul letto alle 15 e quando mi sono avvicinata a lei ha pianto. Le uniche parole che le ho detto erano che la mamma era lì con lei.

Le due ore d’attesa sono state lunghe ma sono riuscita a sciogliere il nodo che avevo in gola da tre mesi. Ho pianto due ore in silenzio della sala d’attesa del reparto di senologia finché ho rivisto mia figlia.

La sua storia si è intrecciato alle vicende di questi tre mesi, alle notizie, le informazioni, alle incertezze, alle storie di altri miei pazienti, a tutti quelli che ho sentito per telefono, a quelle che ho visitato in studio, quelle viste in casa.  Un misto di dubb.i, preoccupazione, ansia, speranza e tanta capacità di R-Esistere

Montemarciano

02.06.2020

Zahra Afshar

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