Intervista Simen

Due giovani italiane, studentesse a Groninger, Chiara Traversa e Clarissa Guidi, raccontano come hanno indagato le Medical Humaninities e la Medicina Narrativa fino a pubblicare un interessante articolo:  “Empathy in patient care: from ‘Clinical Empathy’ to ‘Empathic Concern’” pubblicato online su Springer – Medicine, Health Care and Philosophy lo scorso primo luglio.

Stefania Polvani intervista Clarissa, che ha frequentato il primo corso di 40 ore per Facilitatori di Laboratori di Medicina Narrativa organizzato da SIMeN.

Si può leggere l’articolo: https://link.springer.com/content/pdf/10.1007/s11019-021-10033-4.pdf

Clarissa come è nata l’idea di un articolo sull’empatia e la Medicina Narrativa?

 

L’idea di scrivere un articolo di ricerca è nata all’interno del nostro percorso universitario circa due anni fa. Al tempo entrambe stavamo studiando alla facoltà interdisciplinare dell’università di Groningen, dove al secondo anno di università abbiamo avuto l’opportunità di utilizzare uno spazio accademico di 5 crediti come meglio pensavamo. Ne abbiamo parlato un po’ e, dopo esserci confrontate sul da farsi, abbiamo pensato: Perchè non provare a scrivere un articolo accademico insieme?

All’inizio di questo progetto non avevamo un’idea chiara e precisa su che cosa scrivere, sapevamo solo che ci sarebbe piaciuto approfondire il nostro interesse per le Medical Humanities (o Scienze Umane Mediche, così come le chiamano qui in Italia) e la Medicina Narrativa…

Così abbiamo iniziato a fare ricerca: ore e ore passate a studiare articoli e libri sull’argomento. Le nostre scrivanie erano così piene di cose da leggere che c’era a malapena spazio per una tazza di tè. Ma è stato proprio grazie a questo processo di studio “matto e disperatissimo” che abbiamo potuto riflettere meglio sul tipo di lavoro che avremmo voluto condurre.

Da qui è venuta fuori l’idea di approfondire la tematica dell’empatia in ambito medico, fondamentale sia nelle Medical Humanities che nella Medicina Narrativa. Entrambi gli approcci, infatti, promuovono una relazione medico/paziente basata e incentrata sull’ascolto, la comprensione e la comunicazione empatica.

E dunque, una volta individuata l’empatia come fil rouge del nostro articolo, abbiamo iniziato ad approfondire il tema sempre di più. Abbiamo esaminato i vari dibattiti sull’argomento, analizzato vantaggi e svantaggi, e abbiamo finito per sostenere e promuovere una concezione più ampia e complessa della cosiddetta ‘empatia clinica’; un qualcosa che abbiamo chiamato ‘empathic concern’.

 

Quanto è stato facile o difficile pubblicare un articolo su questo argomento?

In realtà, le difficoltà che abbiamo riscontrato rimangono pressoché limitate al fatto che abbiamo portato avanti questo progetto fino alla pubblicazione in parallelo ai corsi universitari, gli esami e la tesi. Infatti lo spazio accademico di 5 crediti (equivalente ad un singolo corso universitario) che abbiamo avuto a nostra disposizione per iniziare questo progetto è giunto al termine dopo circa tre mesi di lavoro molto intenso.

Inoltre, per lo meno in un primo momento, non avevamo preso in considerazione l’idea di una futura pubblicazione in modo serio. È iniziato tutto quasi per gioco, con quelle battute che si fanno tra amici come “Immagini se riusciamo a pubblicare?”, oppure “Sarebbe bello auto-citarsi per una volta”, cose così… Inizialmente volevamo solo fare esperienza di ricerca accademica.

Dopo qualche settimana di lavoro, però, Alberto Godioli – il professore che ci ha fatto da supervisore accademico nell’arco di quel trimestre e da punto di riferimento nei mesi a venire – ci suggerì di considerare l’ipotesi di una eventuale pubblicazione in modo reale. Solo a partire da quel momento abbiamo iniziato a lavorare con l’idea di una pubblicazione in mente; un obiettivo che abbiamo poi deciso di mettere da parte almeno per un po’ di tempo. Infatti, dopo circa tre mesi di ricerca conclusasi con una stesura di una prima bozza, ci siamo rese conto che il ritmo era diventato insostenibile. Non è facile trovare e riuscire a mantenere un buon equilibrio che ti permetta di portare avanti la ricerca, le lezioni, gli esami, e la vita.

Così a un certo punto ci siamo fermate, e sedute al tavolino con una tazza di tè in mano ci siamo dette: facciamo del nostro meglio, quello che ne viene fuori possiamo sempre riprenderlo in mano in futuro, riscriverlo, modificarlo. E proprio così abbiamo fatto, fino a quando Springer non ci ha dato conferma della pubblicazione, avvenuta il 1 Luglio 2021.

 

Quali spunti e suggerimenti vi sembra possano essere colti per un lettore? E per un professionista che lavora nel contesto della salute?

 

Come tutti gli articoli accademici, la nostra ricerca non ha tanto lo scopo di risolvere un problema quanto di creare uno spazio di riflessione su un determinato argomento.

Nel nostro caso, riteniamo di fondamentale importanza che i futuri lettori del nostro articolo – siano questi ricercatori accademici, operatori sanitari, pazienti, familiari o chiunque altro per caso o intenzionalmente si ritrovi il nostro articolo tra le mani – abbiano una visione più ampia dell’attuale sistema medico, riconoscendone non solo gli indiscutibili pregi, ma anche i difetti.

Nella nostra esperienza, è successo molte volte che, parlando con persone comuni delle problematiche analizzate nel nostro articolo, molti si siano sentiti direttamente coinvolti. In molte occasioni abbiamo assistito a reazioni come “Si, mi è successo proprio l’altro giorno”, oppure “Si, quello che dici mi fa venire in mente di quando…”, e ancora “Che sollievo, pensavo di essere il solo/la sola ad avere avuto a che fare con…”.

Il nostro articolo serve anche a questo: riportiamo su carta esperienze vere, reali, e le rendiamo pubbliche per far sapere agli altri che non si è mai completamente soli, neanche in un momento di estrema vulnerabilità come quello della malattia.

Dopo aver analizzato le problematiche del sistema sanitario, ed in particolare delle dinamiche talvolta disumane nel processo di cura del paziente, l’articolo affronta il tema dell’empatia nell’ambito medico. Questo è un argomento dibattuto tra accademici da sempre, e che ha acquistato una particolare rilevanza negli ultimi anni.

In due anni di ricerca possiamo dire di aver letto una buona parte di quanto è possibile sapere sull’argomento, e siamo giunte alla conclusione che, per quanto l’empatia sia importante nella pratica medica, questa non è la cosa più importante.

Alla fine di tutto, quello che desideriamo in quanto esseri umani è essere visti; essere accolti e apprezzati per come si è, nella nostra interezza, sempre. Questo è ancora più evidente nella malattia, quando siamo all’apice della nostra vulnerabilità.

Con il nostro articolo puntiamo a far riflettere gli operatori sanitari proprio su questo: sull’importanza di esserci, di riconoscere l’altro; di ascoltare, supportare e di accogliere l’altro con tutto il suo vissuto e tutto il suo dolore.

Questo è ciò che è sostenuto dall’idea dell ‘empathic concern’; una concezione dell’empatia che proponiamo nel nostro articolo. È un qualcosa che, sebbene fondamentale, non sempre è disponibile da parte di chi opera nell’ambito della salute, e non per carenze intrinseche alla persona quanto alla mancanza di un’adeguata formazione professionale.

Proprio qui entra in gioco la Medicina Narrativa, che grazie alle competenze narrative di close reading, di ascolto e di comunicazione attiva, promuove tra operatori sanitari quelle capacità di accoglienza, di interesse genuino e di sensibilità empatica verso l’altro, ed in particolare, verso coloro che sono direttamente o indirettamente afflitti dalla sofferenza dello star male.

 

Qual è la vostra formazione e i vostri progetti  per il futuro?

 

Entrambe abbiamo studiato al Liceo Classico; chi a Lucca, chi a Cortona. Per caso ci siamo trovate nei Paesi Bassi, a Groningen, a studiare alla facoltà di Arti Liberali e Scienze. Qui la nostra amicizia si è sviluppata di pari passo con una grande intesa accademica che ha dato frutto a collaborazioni importanti.

Ci siamo entrambe laureate a Giugno di quest’anno, Chiara con una tesi sul ruolo delle arti come agente terapeutico e io con un approfondimento della tematica del ‘tocco’ in ambito clinico; e dunque anche del ‘tocco dell’empatia’, della vicinanza empatica.

Per quanto riguarda i nostri progetti per il futuro, Chiara è in attesa di sapere se è stata selezionata per un tirocinio incentrato sull’integrazione di arte, comunità e salute presso una ASL Toscana. Io, invece, ho deciso di proseguire i miei studi nei Paesi Bassi, questa volta presso l’università di Maastricht dove frequenterò una magistrale in insegnamento e promozione della salute. Vedremo quali strade e opportunità si apriranno per il futuro!

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