L’ALBERO DELLA VITA

L’ALBERO DELLA VITA

L’epidemia da coronavirus ha scardinato la routine quotidiana di noi anziani, che tra l’altro ci siamo ritrovati dipendenti dai nostri figli e nipoti per la spesa e per molte altre incombenze, poiché costretti a stare a casa, esiliati nella nostra stessa casa. Mentre fuori la primavera stava sbocciando, a mio marito, che ha 88 anni e a me, che ne ho 81, ci è sembrato di rituffarci dentro un crudele inverno, non per il clima, ma per il freddo isolamento a cui siamo stati costretti. “E’ per il vostro bene”, ci hanno detto subito le nostre figlie; questo non lo abbiamo mai messo in dubbio, ma è stato davvero difficile e lo è ancora abitare dentro giornate dove tutto è sempre uguale a se stesso, in cui non accade nulla di nuovo. E quando mia figlia grande mi ha detto che non si poteva nemmeno andare dalla parrucchiera, ma che io non mi dovevo preoccupare perché mi avrebbe fatto lei la piega, beh … quelle sono piccole grandi cose che hanno dato un colore alle ore grigie del nostro inverno interiore. Oppure quando l’altra figlia, magari stanca della giornata di lavoro, ma sempre pronta con le borse della spesa entrava in casa facendo un sacco di confusione, ecco era il suono della vita che si faceva sentire.

In questi mesi non abbiamo potuto mai vedere i nostri nipoti se non con le chiamate di Whatsapp, ovviamente io non ho un telefono così tecnologico. Sono state le nostre figlie a telefonare ai ragazzi mentre erano a casa nostra. Che bello rivederli tutti quanti e sentire le loro voci. Loro sono stati molto cari e a turno ci hanno sempre telefonato, anche i nostri generi. A una delle nipoti ho commissionato un cartellone per Pasqua, per poterlo appendere ad una delle finestre che dà sul cortile e così mandare gli auguri a tutti i vicini di casa. Nel cartellone G. ha dipinto un bellissimo arcobaleno e il giorno di Pasqua ho ricevuto delle telefonate da altri condomini, che mi volevano ringraziare.

Piccole cose direte, ma per noi importanti per sentirci meno isolati, in grado di poter dare ancora un senso alle nostre giornate. L’unica routine che non è cambiata, posso dire, è quella della tabella giornaliera delle medicine, tra me e mio marito ogni ora qualcuno di noi due deve assumere una pastiglia o ingoiare delle gocce o sciogliere una bustina in un bicchiere di acqua, sperando di non sbagliare qualcosa. Per quanto riguarda il movimento, prima dell’epidemia, sebbene un pò acciaccati, si usciva sempre almeno una volta al giorno nel quartiere, per fare la spesa o per una piccola passeggiata. La mia osteoporosi mi provoca un sacco di dolori, ma io tengo duro e mi sforzo di camminare. Da marzo il perimetro si è ristretto, giriamo più volte nel cortile attorno al condominio, mio genero fisioterapista mi ha detto che è importante per mantenere la forza dei muscoli e per prendere un po’ di sole. Ma non possiamo allontanarci.

Le nostre figlie ci sono sempre per noi, siamo fortunati. Sono state loro a darci tutte le indicazioni per le mascherine, i disinfettanti, il lavaggio delle mani, a volte ci rimproverano perché facciamo qualche manovra in modo maldestro, ma hanno ragione. Certe cose ce le dimentichiamo facilmente. Tante volte dico loro di non venire, di non perdere tempo per noi, con tutto quello che hanno da fare con il lavoro e le rispettive famiglie…

In questi mesi ho sfogliato  molti libri di pittura che una delle mie figlie mi ha portato per passare un po’ il tempo. Mi ha detto che guardare cose belle fa bene al cuore. Qualche settimana  fa ho espresso  il desiderio di dipingere e colorare, è una cosa che mi è nata così, spontanea, non so perché, infatti non l’ho mai fatto prima in vita mia. Ho pensato che potesse aiutarmi per svagarmi un po’. Così mi hanno portato i colori a tempera e a pastello, pennelli e album da disegno e io un po’ qua e un pò là ho iniziato a sbizzarrirmi sul foglio, sentendo dentro di me scendere la calma, respiro, coloro e mi rilasso. Ho detto a mio marito di sedersi accanto a me, lui non vuole fare nulla, ma mi sta a guardare e dice che sono “bravetta”. Un giorno ho disegnato un alberello con rami attorcigliati come riccioli, che trattengono al loro interno dei boccioli dorati. Ma è “l’albero della vita”!, ha detto mia figlia grande.

È andata a prendere il libro dei quadri di Klimt per farmi vedere una qualche somiglianza tra il suo e il mio albero, ma in realtà è il paesaggio che vedo ogni giorno dalla finestra del salotto che mi ha ispirata: una veduta su un parco bellissimo, che si sta risvegliando e mi regala quotidianamente nuove sfumature di verde o qualche bocciolo.  Del mio albero non si vedono le radici, ma lui può stagliarsi verso l’alto perché esse si immergono potenti nella terra. È importante avere solide radici, come in questo tempo di emergenza, per resistere e non farsi sopraffare dalla paura. Anche il tronco è forte e i rami sono delicati ed eleganti, per donare bellezza a chi li guarda. “Mamma, però mancano i fiori nel prato” e così ho disegnato anche quelli, come tanti bottoni o meglio come tanti occhi che osservano la primavera che spunta ovunque. Questi fiori li vorrei mandare a tutte le persone che in questo momento soffrono o hanno perso qualcuno o portarli sulla tomba di chi è morto da solo e non ha potuto nemmeno essere salutato dai propri cari, nemmeno la pietà di un funerale.

Concludo con questa frase che ho pensato insieme alle mie figlie, una di loro ha anche trascritto queste riflessioni  perché io non ho un computer.  Desidero donarvi il mio albero, con l’augurio che sia un segno di speranza, per tutti. Per resistere ci vuole speranza, non dico illusioni o bugie o pacche sulle spalle. La speranza è come una preghiera colma di gratitudine per i doni ricevuti, la vita, le persone care, la salute … ed anche una ricetta per riuscire a guardare avanti, nonostante tutto. Per esistere, resistendo senza mai desistere.

 

Eugenia

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