Un sano groviglio di pensieri in tempo di covid

Una sana accozzaglia di pensieri in tempo di Covid

di Marina Crescenti

Perché mai si dica che la stasi, la lentezza, direi “la fermezza”, intesa non come determinazione, ma assoluta assenza di movimento, non portino a nulla, o, quantomeno, siano da ritenersi improduttive, a mio misero parere, nemmeno uno della portata di Buddha lo saprebbe spiegare. Sciocchezze, difatti. Il nostro cervello va in automatico, e affonda le radici delle proprie certezze su ciò che ha sempre ascoltato, visto, sentito col cuore. Eppure, mi devo ricredere. Chi è pronto a scardinare queste certezze, allora può ritenersi da subito più saggio, più consapevole, più potente. Più.

L’immobilità del corpo non si accompagna a quella della mente, al contrario, spesso aiuta il pensiero e le emozioni che ne scaturiscono ad assumere forme sempre più vivide. Questo è quanto emerge con prepotenza dentro me, in un momento in cui tutto è fermo, tranne la mente. La mente va dove vuole, basta saperla lasciare andare. Niente più museruole, bavagli, guinzagli. Non chiudere porte, non mettere catene, non imbrigliare, mai imprigionare. Né se stessi, né gli altri. Mai imbottigliare la propria mente nel giudizio, per lo più fuorviante, erroneo, borioso; unica chance, che sia costruttivo e propositivo, fondato cioè su medesime esperienze vissute di persona, personalmente, direbbe Catarella (me lo conceda Montalbano…).

Il pensiero di quanti si permettano di giudicare, soprattutto gli altri, o ancora peggio, di farlo pur se non si è passati attraverso la stessa vicenda, oggi mi fa sorridere, un tempo un po’ meno e la rabbia mi inzuppava le mani, proprio così, di sudore. Si trattava di una reazione del corpo all’energia del cuore. Se ho capito bene.

Un virus, sinora sconosciuto e infinitesimo, ha messo in ginocchio paesi, città, regioni e poi nazioni, fino a obbligare il mondo intero a piegarsi alla sua volontà. Un Re bastardo che si è arrogato il diritto e con esso anche il potere di decidere il destino degli Uomini. Di tutti gli Uomini della Terra. Ma quanto siamo uguali, piccoli e vulnerabili? Quanto? Il Mondo è fermo, in una sorta di silenzioso morire piano piano. Morire non vuol dire non esistere, o almeno, non in questo caso. Significa, semplicemente e difficilmente, che si tratta dell’ossimoro che dà vita a qualcosa che per un istante pare morire, finire, non esserci. Invece, no. Spzzati, automatismo; spzzati e sparisci. E fallo per sempre, non soltanto per questo paio d’ore in cui scrivo questo groviglio di pensieri.

Ma siamo sicuri che di groviglio e accozzaglia si tratti? A me cominciano a venire dei dubbi. Bene. Significa che la mia mente si sta aprendo a nuove opportunità. Potrebbe anche significare che le mie convinzioni (o, mamma, che brutta parola!) comincino in qualche modo a sciogliersi, a lasciare il posto a qualcosa di più… come dire, strano. Ecco qua, lo sapevo: la parola che avevo in mente era “sano”. E invece, ho scritto strano”. Vorrà pur dire qualcosa.

Non so come dire, ma in questo momento nulla è come prima. La stasi ha creato il movimento, e il movimento ha generato il cambiamento. Ci si crede completi, che non manchi nulla per affrontare la strada maestra che si è scelto di percorrere. Che sia così sempred’accordo, lo sappiamo tutti, si cambia, ma è come con gli incidenti, ci si convince che a te non possa mai capitare. Che siano cose che riguardino gli altri. Punto. Eppure, finalmente, accade qualcosa; che da sano si trasforma in strano. Sano e strano. Strano può essere sano. Anzi, aggiungerei che è strano perché è sano. Evviva!

E’ a te che sto parlando, caro il mio Covid19, foriero di morte e dispensatore di uguaglianze tra gli Uomini, mai immaginate così tangibili, indiscutibilmente vere e reali. Hai messo l’Uomo di fronte alla maestosità dell’imponderabile, come mai era accaduto prima, nemmeno la guerra è riuscita ad arrivare a tanto. Mi sa che ho capito, sai?, il tuo messaggio recondito, celato dietro le scie di distruzione e di morte che ti porti dietro da mesi. Sei come uno specchio, per me. Tutto può – o non può – essere messo in discussione. Si tratta solo di decidere cosa vuoi da te stesso, e poi dagli altri. Questo è ciò che ho imparato da te, piccolo enorme essere immondo. Ebbene, io so cosa non voglio. Per esempio, non annientarti. O che tu non te ne vada. Oppure… Ascolta, rendiamo le cose più semplici. Pur nella certezza che due negazioni affermano, togliamole, ma sì! Cos’è? Un atto di liberazione? Di ribellione? Entrambi, direi. Le catene ce le mettiamo noi, i nostri peggiori nemici siamo noi. Ma cosa vengo a insegnarti? A te, proprio a te! Insomma, tirando le somme, dico che strano è sano. Ma sano? È strano? Non si sa, perché la parola strano non esiste, e nemmeno la parola sano. Com’è possibile? È possibile, invece, sai come si fa? S, certo… ma te lo dico lo stesso: basta non imbottigliarsi. Stapparsi, diceva qualcuno, non ricordo più chi, e non aveva tutti i torti. Stapparsi. Ci pensi che bello? Cosa verrà fuori? E chi lo sa! Ma io non ho paura; di vivere, non ho mai avuto paura. Quindi, mi stappo. Senti qua, se metto la c’ al posto della t’ viene fuori il contrario. Scappo. Scappo dalla mia immagine riflessa allo specchio, quello che tu mi hai messo davanti. Basta davvero così poco? Sulla tastiera, sì.

Nei cuori, un po’menoNon è così facile, ma ho deciso. Ho deciso di vivere, ascoltando ciò che ho da dire, ciò che desidero, ciò che non voglio. Nel totale silenzio. Ma ne sarò capace? Mi piace sfidarmi, forse perché so che ce la farò? Sì, è così.

Alla fine, mi vengono in mente solo due parole, oggi piacevolmente collegate: strano e sano. Per una a cui hanno fatto credere, peraltro riuscendovi, di non essere sana, di essere strana (a voler essere buoni), è un bel fatto.

Perciò, se tutto parte da un numero, il due, e addirittura anche a te ne hanno affibbiato uno, il 19, dunque, dato che la matematica non è un’opinione, è piuttosto probabile, forse ci sarà un po’ da limare, forse si tratterà di aggiustare il tiro, ma direi, con beneficio di inventario, che ciò che sono non è poi così male.

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