Storie di quotidiana ordinarietà

La banda larga non è più sufficiente per contenere le nostre emozioni.

La nostra casa non ha porte, le videoconferenze sono condivise e sono lo spunto di lunghe conversazioni a tavola, nel momento in cui ciascuno si stacca dalla sua bolla di sopravvivenza quotidiana per riunirsi in un luogo, in uno spazio in cui si ritorna a vivere una ordinarietà quotidiana. O quotidiana ordinarietà?  Non ci poniamo il problema e viviamo pranzi e cene come mai abbiamo fatto prima. Siamo insieme, separati in casa, famiglia più che mai.

I primi webinar sono impacciati, difficili da gestire, ma nel corso delle settimane ciascuno ha imparato le regole non scritte di questa comunità virtuale: si parla uno per volta, non ci si sovrappone, si rispettano i tempi degli altri, si ascolta quello che ciascuno ha da dire.

Le video chat di mio figlio, inizialmente inesistenti, si moltiplicano nel corso del tempo. I vari gruppi facebook, via via creati, si riducono ad uno riconducendo tutti allo stesso, chiamando alle ore più impensate e scoprendo come ciascuno dorme, fa colazione, si rapporta con i genitori, vive.

Nel corso del tempo ho visto crescere questa piccola comunità, che inizialmente si limitava a saluti fini a se stessa. Ma piano piano ha cominciato a coinvolgere aspetti del proprio vissuto e poi….. i primi litigi, l’epurazione di qualcuno, il tentativo di far da paciere di mio figlio e il riportare al gruppo anche chi ne era uscito per intemperanze personali. Fantastico come ragazzi con disabilità mentale possano riprodurre le stesse dinamiche degli altri, quelli che si considerano normali, ma con una trasparenza che ricorda quella dell’acqua di montagna che scorre cristallina sulle rocce.

La grande esce quotidianamente per il suo servizio di volontariato. Il ragazzo è confinato in Lombardia, deve dare un senso quotidiano alla sua esistenza. I suoi racconti a volte intrisi di pianto sulla povertà che impatta, la sua rabbia sugli interessi politici ed economici che nonostante tutto girano anche intorno alla consegna di pacchi viveri mi fanno di nuovo assaporare le forti emozioni dei vent’anni, quando tutto è bianco o nero e il grigio è un colore da vecchi.

La piccola (che tanto piccola non è) è scomparsa in un suo mondo fatto di camera, bagno, computer, telefono e qualche lezione scolastica di professori che ripetono parole alle quali loro per primi non attribuiscono altro peso di quello leggero dell’etere.

Chi è, dove è, con chi si rapporta: un mistero. Appare per nutrirsi, veleggia leggera verso il tavolo e altrettanto leggera se ne allontana, quasi senza lasciare traccia. Un mondo a parte, raramente intaccato dalla nostra quotidianità.

I Telegram del Ministero della Salute segnano il nostro contatto con i morti, i contagi, i guariti. Ci guardiamo straniti riscontrando nei numeri solo delle cifre fredde che non rispecchiano le colonne di camion verde militare che sono arrivate anche qui da noi.

Tempo Covid, tempo sospeso. A volte penso che potrei rimanere in questa bolla per la prossima eternità. Io, la mia famiglia, uno smart lavoro, la tuta da ginnastica e nessun problema di come sono vestita, pettinata, agghindata.

Abbiamo tanto da imparare, nonostante la situazione. Speriamo che tutto questo non sia passato invano.

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