Diario breve di una pandemia

Domenica bestiale

Fuori il sole si affaccia a fatica, quasi volesse farsi pregare. Anche lui. Ogni piccola buona notizia cambia il mio punto di vista sull’esistenza, come ogni giorno, da quel 21 febbraio. Ora sto cercando di concentrarmi, come fossi un generale d’armata, su quali prodotti potrebbero scarseggiare nei prossimi giorni. Ho poche idee e confuse. La verità è che non vorrei avvicinarmi ad un supermercato, almeno per un po’. Ma se poi non li producono più? Siamo troppo abituati alla pappa pronta ma lavorando non saprei cos’altro fare. Scatolame, detersivi, farina, cialde del caffè (si!), biscotti, pasta, latte, frutta sotto spirito?! Se avessimo una cantina farei incetta di insaccati. Ho già il freezer pieno. In realtà i cinesi insegnano che prima o poi finirà. 30 giorni sono già passati, ne serviranno altri 30? 60? Poi arriva l’estate. Ogni giorno ne sappiamo di più e ci organizziamo meglio. Ogni giorno ci sono due bollettini ufficiali e mille messaggi sui nostri gruppi di medici. Cosa sono due mesi, infondo? Spero solo che non arrivi il caldo soffocante perchè abbiamo il condizionatore della cucina da cambiare. La vita, quella è un’altra cosa. Le nostre chance arriveranno alla fine della pandemia. Ci sarà un ‘prima’ ed un ‘dopo’, che per noi due avrà un meraviglioso valore aggiunto.

Ciò che non abbatte fortifica

Oggi 25 marzo, smonto notte. Strana sensazione di ripresa. Ho la netta sensazione che presto si vedrà la fine. Non quantifico il “presto” ma mi sembra di poter vivere altri 100 giorni così, mi sembra di aver raggiunto una sorta di routine quotidiana tutto sommato sopportabile. Mi mancano gli affetti, gli amici, la possibilità di pianificare il prossimo viaggio.  Ma tutto sommato questi lunghissimi pomeriggi soli io e Fra li apprezzo tantissimo. Me li sto gustando.

La rabbia delle ore

Sabato 28 Marzo c’è il cambio dell’ora. L’ho saputo per caso. Nonostante tutto quello che sta succedendo intorno, mi dà ancora fastidio, come ogni anno, come ogni cambiamento. La mia testa è sempre in ospedale, ovunque mi trovi. La nostra casa è troppo uguale a sé stessa ogni giorno, al telefono faccio gli stessi i discorsi con tutti, massima attenzione nel parlare di altro, non mostrare quello che ribolle sotto, lasciare sempre aperta la strada della speranza. Per alcuni la verità nuda sarebbe troppo dolorosa, incomprensibile, credo. Ritornando a casa, illudersi di lasciare lo sporco fuori. La doccia frenetica dopo la guardia, senza quasi salutare. L’amuchina sul cellulare ogni giorno, l’odore nauseabondo di candeggina e quei residui che non se ne vanno. Pensare ogni singolo giorno che, se dovesse toccare a me, vorrei avere il tempo per salutare come si deve. Devo preparare un foglio con la mia anamnesi? Francesco si ricorda le mie allergie? Mah.

Risvegli

30 Marzo. Questa mattina tutto era nuovo, ho riposato bene, sono ritornata al mondo con uno slancio che mi mancava da un po’. Voglio imparare i rudimenti della LIS, da tempo immemore. Forse è arrivato il momento. Nel mezzo della pandemia sono arrivati in reparto ben due pazienti sordomuti in meno di sette giorni, non posso ignorarli.

9 aprile, Via Crucis

Da tre giorni il nostro reparto è in isolamento per un caso di Covid. Arrivano a tutte le ore notizie di nuove positività. Siamo frastornati, increduli, in una sorta di limbo delle emozioni. Tutto ribolle dentro con una forza inaudita, ma sotto una nuova soglia di sicurezza eretta rapidamente per l’occasione. In fretta trasferiamo i nostri pazienti positivi, due alla volta, all’Ospedale Covid, con l’ambulanza dedicata, usando il percorso dedicato, compilando i moduli giusti, con i corretti DPI…tutto improvvisato, pianificato, da noi. Vederli andar via così in fretta, spaventati, spesso solo poche parole per spiegare a cosa andavano incontro. Avvisare le famiglie per telefono, una ad una, raccogliendo tutta la loro rabbia e disperazione per quel contagio inspiegabile, spesso su persone già fortemente provate dalla malattia. Suonava come una quasi condanna a morte. Ore 19.40, è quasi la fine del mio turno pomeridiano. Rispondo alla chiamata dell’infermiera del piano di sotto:” dottoressa venga, il paziente è ipoteso, desatura, ha le dita blu e 39°C di febbre…”. Dò le prime indicazioni per telefono, mentre corro. L’avevo intravisto col giro del sabato quel paziente. Me lo ricordavo. Mai avuto febbre, mai necessitato di ossigeno, era in riabilitazione per gli esiti di un ictus. Penso che ci siamo. Paziente proveniente dal mio reparto, ora divenuto focolaio, sintomi compatibili. Mi infilo i guanti, mascherina, cuffia, sovra camice improvvisato e via. Quando tutto finisce, la stabilizzazione, l’anestesista che si allontana ed il trasferimento in Malattie Infettive, un dolore sordo alle tempie ed una profonda spossatezza mi impediscono di fare altre considerazioni. Spero se la cavi. Saluto la collega di guardia della notte. Torno a casa molto tardi, stremata. Mi lavo due volte: prima di uscire dall’ospedale e appena tornata, tutto ciò che era scoperto di me con attenzione maniacale. La mattina dopo la notizia della sua positività non mi sconvolge, me l’aspettavo. La metto insieme alle altre, proseguo, quasi con un sottile filo di orgoglio “ho scovato il virus, sono forte”. Non ci penso più. Il giorno dopo arrivano altri risultati dei tamponi fatti: ci sono tutti quelli dei colleghi e sono negativi, il mio invece lo devo ripetere. Appena visualizzato il messaggio non riesco a trattenere le lacrime. In tv c’è la Via Crucis: un pugno di uomini che sorreggono una croce nel buio, al freddo. Un’enorme vuoto dove prima c’era la piazza, la Vita. Le parole rimbombano in quel silenzio irreale, per una umanità vestita a lutto.

L’inizio della fine. 19 Aprile 2020

Qualcosa sta cambiando. Chiudono le terapie intensive, si riducono i numeri. Lentamente la curva scende. Riesco a pensare ai nostri progetti di genitorialità. Riesco a pensare al mare della Sicilia col sole che mi acceca tra le colonne di qualche chiesa barocca magnifica.  Vedo un ritorno. Un po’ lo temo. Solo un po’. Arriverà il cambiamento? Quanti si saranno persi? Quanti sapranno ritrovare la strada? Saremo all’altezza di ciò che ci aspetta? Traumi e sogni ci accompagneranno per quanto tempo? Siamo più forti di prima? Oppure no, tutto tornerà lentamente com’era. Anche il male tornerà. L’unica verità è che desidero più di ogni altra cosa ora cambiare ancora una volta prospettiva. Strada. Vita. Tutto il resto ora mi annoia.

25 Aprile 2020. Non scorderò mai gli uccelli.

C’è il sole ma dentro casa oggi c’è poca luce. Ieri sera al ritorno dalla guardia, a notte inoltrata, davanti al mio condomino, appena scesa dalla macchina, c’era un distinto, inconfondibile, intenso profumo di salsedine. Il mare aveva deciso di farmi una visita, qui, in piena pianura padana, una carezza graditissima che mi ha fatto sprofondare in ricordi pieni di nostalgia. Oggi mio padre mi ha mandato un video del mare. Il cerchio si è chiuso. Grazie a Rai Radio 3 ed una strada di ritorno a scorrimento veloce popolata solo da stormi di uccelli curiosi, liberi come l’aria. Disturbando i loro volteggi, unica macchina in entrambe le direzioni per decine di km, mi sentivo straordinariamente grata.

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