2020 Vita da pandemia

Che quest’anno fosse l’ennesimo anno bisestile immaginavo già come fosse stato.

Come tutti gli anni precedenti non mi aspettavo niente di nuovo all’orizzonte, inoltre sommando venti e venti diventano quaranta.

Quaranta gli anni che il popolo di Israele ha impiegato per raggiungere la terra promessa, quaranta i giorni che Noè ha trascorso nella barca per salvaguardare la specie umana per ripopolare la terra. Quaranta i giorni che Gesù ha trascorso nel deserto vagando, pregando e digiunando. Quaranta i giorni delle puerperio delle neo mamme destinate alle cure del bambino e quaranta sono i giorni di quaresima per l’adorazione a Gesù che stava per essere crocifisso.

Appena questa malattia si è palesata è iniziata la quarantena, la mia mente mi ha portato a tutti questi ricordi biblici, mai dimenticati.

Tutto comincia come se fosse un gioco, ne senti parlare con paura ma non vedi bombe o cannoni, nulla che ti faccia pensare ad una guerra. Eppure questa è una guerra assai più pericolosa delle altre, è veloce più del vento e della luce e l’unica cosa che vedi non sono i feriti e i tanti morti che spesso non riesci a contarli e nemmeno seppellirli per dare loro la dignità, che ogni persona merita.

La paura circola attraverso i social, le televisioni che ci bombardano a tutte le ore e con tante notizie diverse che spesso mi hanno fatto dubitare sull’attendibilità delle stesse e portarmi a decidere che l’unica vera soluzione al problema fosse l’isolamento volontario mio e di mia figlia, essendo lei una ragazza fragile che ha sulle spalle una vita di continua sofferenza in quanto è affetta da una grave malattia rara e autoimmune. Una persona non autosufficiente e che di malattie virale ne ha subite tante, dalla meningite virale alla bronchiolite e tante altre ancora. Di qui la cautela ad evitare che anche questo coronavirus potesse colpire entrambe e nessuno di noi due può fare a meno dell’altra. La mia esistenza non avrebbe ragione di esistere senza di lei e lei resterebbe sola senza di me.

Restare a casa ha significato rinunciare a tutto, l’altro mio figlio che in questo periodo ha iniziato un lavoro ad alto rischio contagio, dopo anni di disoccupazione, a casa non entra e poiché fratello e sorella sono molto affiatati entrambi sentono la mancanza e il senso di abbandono, e non basta di certo una videochiamata se poi non possono abbracciarsi e giocare insieme. Questa mancanza si sente terribilmente, pur essendo io un’ottimista per natura, a volte faccio fatica a far comprendere a mia figlia che il fratello non c’è perché lavora fuori città. Una bugia pietosa per non farla soffrire.

Non abbiamo la possibilità di fare la terapia fisica ed occupazionale in quanto la fisioterapista non può più venire, manca l’assistenza domiciliare tranne un operatore di una cooperativa sociale che coraggiosamente non si è tirata indietro ed ha continuato a venire alcune ore al giorno per aiutarmi almeno per l’igiene di mia figlia. Molte altre cooperative non lavorano per il timore della trasmissione del virus.

La mia preoccupazione è per quando cominceranno ad allentare le misure di sicurezza e ci sarà il ricongiungimento familiare…il rischio tra l’altro non ha mai smesso di esserci.

All’inizio di questa catastrofe mi pareva di vivere un film di fantascienza, dove tutto era surreale ma tremendamente drammatico, dove la manipolazione genetica colpiva delle persone e i loro geni si trasformavano in qualcosa di mostruoso.  Purtroppo non è un film ma qualcosa di terribile che uccide senza scampo come è successo al mio amico Antonio che stava male da tanti giorni e nonostante le sollecitazioni agli organi competenti non si è mosso nessuno a compassione e nessuno ha preso in considerazione che oltre i protocolli ci sono le persone. Venti giorni di ritardo lo hanno portato alla morte.

Pur cercando di essere serena e positiva anch’io a volte cedo alla paura. Come spesso accade mia figlia sta male e vado in ansia al pensiero che devo chiamare un aiuto, un soccorso e cerco di fare tutto da sola. Io da sola riesco a contenere delle crisi epilettiche, la febbre ed altre situazioni più o meno gravi ma non posso contenere l’impossibile ed è in questi momenti che ti trovi di fronte ad un bivio e devi decidere e scegliere una strada che sia la più sicura possibile, scelgo di non chiamare nessuno. Per mia fortuna ho una formazione sanitaria e riesco a risolvere anche il non risolvibile. Però non tutti hanno la mia fortuna e spesso anche il problema più piccoli per molti diventa un ostacolo enorme.

Sessantaquattresimo giorno in casa, siamo già alla prima decade di maggio e da noi fa freddo e i termosifoni sono ancora accesi con un consistente consumo economico.

Diciassette maggio il clima è decisamente cambiato, fa più caldo ma fa anche tanta più paura. Per fare un minimo di spesa perdi una mattinata poiché nelle attività commerciali entrano un massimo di cinque persone e di conseguenza il tempo passa e torni a casa quasi a mani vuote poiché nella fretta di uscire ha dimenticato cosa dovevi acquistare.

Come sempre accade da ormai quarant’anni dedico la mia vita alle persone con disabilità ed anche in questa pandemia non smetto di lottare. Sto chiedendo alle autorità preposte, Regione, Comune ed ASL di fare i test agli operatori ma sono sordi a qualunque forma di proposta/ protesta compresa scrivere articoli su varie testate giornalistiche. Pare, che tutti siano diventati sordi e ciechi. Da pochi giorni siamo entrati nella fase due e sento ancora più forte il pericolo del contagio, le persone sembrano impazzite come schegge di luce in una notte stellata. Si riuniscono in gruppo senza mascherine, si abbracciano e baciano come se non ci fosse un domani, bevono alcolici scambiandosi la stessa bottiglie ed è uguale con le sigarette.

Siamo giunti al 4 giugno, si spalancano le porte a tutti e i controlli sono a mio parere dimezzati. Si fanno lunghe attese per qualsiasi cosa, dal supermercato all’ufficio postale e di conseguenza la giornata si perde in queste attese. Non c’è più il diritto alla salute, per colpa del coronavirus non si sono effettuate le prestazioni prenotate da tempo, pertanto se non muori di covid muori per un’appendicite o per un infarto.

Come già detto, in questi mesi ho sollecitato gli amministratori locali, comune, ASP, ministro della salute affinché i ragazzi diversamente abili e gli anziani potessero beneficiare di un test sierologico o di un tampone. Nonostante loro sono la categoria più a rischio e con loro anche le famiglie e gli operatori che vivono a stretto contatto e il famoso distanziamento sociale ce la scordiamo. Nessuno delle persone sopra citate si è fatto sentire né in positivo né in negativo, solo dallo staff del Ministro Speranza un medico mi ha contattato telefonicamente. Ho la netta sensazione che in questi ultimi anni si siano persi i valori fondamentali quali il diritto allo studio e alla salute.

“La salute è un diritto di ogni singolo cittadino sia che abbia una disabilità o che sia normodotato ad 1 anno come a 100 anni”.

In ogni caso non arretro di un passo e continuerò a lottare per i diritti di tutti…questo brutto periodo mi ha insegnato ancora di più quanto è importante avere un credo politico e religioso e continuare a camminare sulla strada maestra.

@Alba Margherita Montagnuolo

Email montagnuoloalba@gmail.com

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